Sperimentare a partire dal noto: l’esperienza del laboratorio
“Obiettivo Benessere – Sindrome Metabolica”
Vogliamo raccontarvi una storia, un progetto regionale al quale abbiamo partecipato su richiesta del Dipartimento di Salute Mentale della Aulss 8 Berica con il quale da tempo collaboriamo.
A partire da maggio 2021, infatti, abbiamo tenuto delle lezioni di yoga – ginnastica finalizzata alla salute e al fitness all’interno degli spazi del centro diurno del Dipartimento di Salute Mentale del centro polivalente di San Felice; il progetto era rivolto ad un gruppo di pazienti selezionati per il rischio di sviluppare la “sindrome metabolica” e prevedeva un approccio multidisciplinare, tra cui il nostro laboratorio.
Manu ha condotto una lezione a settimana da maggio a novembre e seguito tutti gli incontri di coordinamento: vi facciamo un breve resoconto che in parte ricalca quanto abbiamo relazionato alla Regione.
A partire dal primo incontro di presentazione del laboratorio è stato evidente che le lezioni si sarebbero realizzate partendo dalla posizione seduta sulla sedia: l’uso tel tappetino per un lavoro a terra, infatti, non sarebbe stato accessibile a tutti i partecipanti, viste le variegate condizioni fisiche. Abbiamo quindi orientato il lavoro a partire dalla sedia e verso la posizione in piedi.
Questo “limite” iniziale si è rivelato una risorsa preziosa per esplorare in modo inedito la pratica, allentando anche le diffidenze e le preoccupazioni espresse in prima battuta da alcuni dei partecipanti: “guarda che io non riesco a mettere le gambe incrociate”, “con le mie ginocchia non sarà facile”, “io ho sempre mal di schiena”… la sedia, come oggetto domestico, invece, ha da subito abbassato il livello di ansia prestazionale, trasformandosi da semplice e noto oggetto quotidiano a potenziale “attrezzo” e compagno per la pratica.
Questo ribaltamento di visione è proprio quello che abbiamo provato a portare come filo rosso in tutta la proposta: prendere un oggetto, un gesto, un movimento, una posizione “domestica”, conosciuta, e scoprirne il potenziale altro. Non servono sempre gesti eclatanti o movimenti complicati per esplorare, ascoltare, sperimentare… è nel noto e nel ripetuto, nel già consolidato, che possiamo esplorare un potenziale di ascolto senza aumentare il livello di ansia, di paura. Da lì possiamo poi transitare verso altro di ignoto, sbilanciarci e scoprire qualcosa di nuovo: apprendere.
Questo utilizzo dell’immaginario ispirato alla vita domestica è un lascito prezioso dell’esperienza fatta da Manu al Dance Well Teacher Training: contaminare le pratiche, adattarle all’obiettivo che è sempre la presenza, la possibilità di esserci e sperimentare nelle proprie possibilità. Non c’è una strada comune per tutti e tutte, ci sono vie, ci sono corsi, ci sono tempi. Ma accompagnare tutti i corsi d’acqua al mare è l’obiettivo da perseguire.
La sperimentazione non deve essere infinita: si propone un catalogo di pratiche, le si sperimenta, le si adatta, si osserva, si ascolta, si aspetta. Si lascia sedimentare e si ripete, ma anche si cambia, ma non troppo; tenere un filo comune, ripetere ma con piccole variazioni abbassa la soglia dell’ansia in persone che non si definirebbero “di prima mano” sperimentatrici: in questo modo, in forma sottile, si sperimenta, ma senza gridarlo, ci si lascia andare, ma piano piano.
E dopo che si è sperimentato un po’, si è variato, si fa il punto: cosa ha funzionato? Cosa tenere? Cosa ricordiamo? Cosa ci è piaciuto? Cosa ci ha sfidato? Cosa abbiamo provato a ripetere da solǝ?
Qui viene il bello, il famoso travaso.
Abbiamo cercato di proporre una routine di pratiche che potesse travasare dallo spazio settimanale del laboratorio allo spazio quotidiano della vita, dove inserire alcune piccole trasformazioni che possono avere grande impatto sulla salute psico-fisica generale.
Verso la fine del ciclo di incontri abbiamo fatto l’esperienza della conduzione condivisa: dopo tante sperimentazioni e proposte, veniva il momento di provare a far sedimentare quanto era rimasto in memoria come saliente e utile: qualcosa che era piaciuto particolarmente o che avevamo sperimentato come meglio per noi. Abbiamo quindi dedicato gli ultimi 4 incontri alla co-conduzione: ciascuno proponeva e conduceva un esercizio per il gruppo, e tutti e tutte potevano collaborare con variazioni, rilanciando.
In questo modo l’apporto individuale veniva riverberato nel gruppo, accresciuto, chiarendo quanto il gruppo sia una vera forza motrice: se ciascuno/a ricorda un pezzetto, il gruppo è in grado di ricordare un’intera lezione!
Inoltre lo stimolo del singolo stimola la memoria corporea dell’altro, promuovendo variazioni sperimentate ma anche proposte inedite: una volta che il corpo si apre alla sperimentazione senza il blocco mentale del “non sapere cosa fare / non essere capaci”, emergono tutte le potenzialità di gesti semplici come spazi di sperimentazione.
Sono proprio i gesti di cura semplici ad aver guadagnato maggior consenso, tra tutti l’automassaggio ai piedi: nelle ultime lezioni co-condotte non è mai mancato! In generale abbiamo insistito molto sul lavoro “sui piedi”, sul radicamento, sul sentire la terra, l’appoggio, lo stare su due piedi, poi su uno; il transito da due piedi – un piede – due piedi che chiamiamo camminare: quel momento di azzardo, di sospensione, di equilibro che tutte e tutti sperimentiamo costantemente ma al quale non diamo peso, pensando di non essere capaci di stare su un piede solo. E invece… basta dilatare i tempi et voilà.
Massaggiare i piedi con le palline da tennis o semplicemente con le mani, riconoscere al tocco dove c’è bisogno o come scaldare i piedi: gesti intuitivi di cura che non richiedono grande tecnica ma una progressiva dimestichezza, un volersi bene semplice.
Se dovessimo quindi riassumere l’esperienza del laboratorio diremmo che non serve sempre lo straordinario, ma un recupero dell’ordinario: lavorare per proporre un ascolto corporeo semplice e pratiche di cura accessibili, basilari, ma non scontate, favorendo il sentire, il percepire la sperimentazione.
Massaggiarsi il corpo, impastarlo, percuoterlo leggermente con le dita o con le palline da tennis o strofinarlo con un tessuto; usare attivamente le mani, strizzarle, stringerle, massaggiarle, sentirne la forza e il potenziale; utilizzare lo sguardo, esterno e interno, allenare l’udito, addomesticare il silenzio e il buio, spesso orizzonti di paure; trovare nel respiro una compagnia silenziosa, in grado di “cucire insieme i pezzi” come abbiamo tante volte ripetuto.
Sperimentare che il nostro stato d’animo influenza il respiro, ma anche che stare nel respiro può mutare lo stato d’animo, e in questo modo possiamo influenzarlo “per il bene”, o anche solo riconoscere il nostro stato d’animo attraverso il respiro, e nominarlo.